Scenari del nuovo anno
Sfide 2024. Il lusso tra opulenza e frugalità
In uno scenario di sempre maggior polarizzazione, si muovono due tendenze uguali e in contraddizione tra loro
Il 2023 è stato un anno rivelatorio per il sistema moda e lusso globale, l’anno del “reality check” per molti brand del settore.
Il gruppo Kering per la prima volta ha registrato un terzo trimestre negativo (-13% reported growth). Una inversione di tendenza rispetto ai fasti del passato che si era già iniziata a vedere e, per questo, François-Henri Pinault aveva avviato una serie di manovre di riorganizzazione sia a livello di business che a livello creativo aprendo le danze con l’uscita di Alessandro Michele, demiurgo della crescita esasperata a doppia cifra di Gucci insieme a Marco Bizzarri.
Altri brand storici come Ferragamo, protagonista di un recente re-branding e di una nuova strada creativa e di business con il duo Gobetti-Davis, hanno ugualmente registrato un calo del fatturato del terzo trimestre del 2023 del 10%.
Così come un altro marchio in fase di rilancio come Burberry nello stesso periodo ha avuto un semplice +1% nonostante la grande visibilità dovuta al direttore creativo ex Bottega Veneta, Daniel Lee. Ma anche gli altri titani del settore come Lvmh, o Richemont, hanno visto una frenata e sicuramente l’evaporare delle crescite a doppia cifra di cui hanno goduto fino ad ora.
Quella a cui stiamo assistendo è una polarizzazione, come spiegato da Flavio Cereda su ThePlatform del 14 dicembre. Chi non ha smesso di crescere senza eccessi ma comunque approfittando dell’onda lunga dell’accelerazione cinese sta continuando a cogliere i frutti di un lavoro prudente e profondo.
Hermès, Chanel, Dior hanno visto il loro valore di brand aumentare in modo sostenuto e organico, anche grazie a una magistrale strategia di marchio e di comunicazione e alla minore dipendenza dall’estro del momento del direttore creativo.
I marchi italiani come Zegna, Cucinelli, Prada, Moncler hanno continuato a presentare tassi di crescita importanti e a doppia cifra nonostante il periodo di incertezza ed il cambio di passo dei mercati.
In questo scenario, quali saranno i fattori chiave del successo di un marchio nel sistema moda e lusso nei prossimi anni?
Viaggiare a 300 all’ora
Mentre si parla molto di quiet luxury come risposta all’eccesso stilistico e personalistico che si è notato in alcuni brand che sono stati invasi e quasi dissanguati dall’eccentricità fine a sé stessa che aveva creato orde di fan, scomparsi poi alla prima disavventura gestionale o satolli di ruches e orpelli strampalati, la realtà è che quello della moda e del lusso è un vero business che poggia su un’industria manifatturiera che ha dinamiche e aggiustamenti di medio e lungo periodo.
Come una Ferrari che non può sempre andare a 300 all’ora o come Roberto Bolle che non può piroettare all’infinito, il sistema moda e lusso deve seguire un ritmo, ed esserne consapevole.
Oramai è chiaro che a fronte di crescite spensierate e insostenibili in un arco di 3-5 anni, il contrappasso è l’espulsione violenta dall’azienda dei vertici e lo sprofondare della stessa in crisi spesso irreparabili in cui il marchio, anche se sopravvive è costretto a ridimensionamenti drastici sia di fatturato che di apprezzamento del cliente.
Brand come Roberto Cavalli, Sergio Rossi, Gianfranco Ferré, Fiorucci ma anche giganti americani, iconici brand che avevano le file di clienti di fronte ai loro negozi come J.Crew e Abercrombie e Fitch sono solo alcuni esempi di eccesso di ottimismo gestionale e di scarsa capacità di progettazione di un brand e del suo business nel lungo periodo.
Le due tendenze
La morsa principale nella quale l’industria della moda e del lusso sarà stretta anche nel 2024 sarà quella tra due tendenze, eguali e contrapposte, dalla stessa sapientemente alimentate: il desiderio di opulenza da una parte e la frugalità moralistica dall’altra parte.
Ormai il pendolo della comunicazione e del marketing e il senso stesso di molti brand oscilla pericolosamente e ininterrottamente da un polo all’altro.
Da una parte, il sistema moda e lusso ha bisogno di stimolare la ricerca del piacere immediato attraverso l’acquisto costante dei suoi prodotti (sempre più costosi), che non generano mai soddisfazione duratura e inducono frustrazione e una ricerca quasi cavalleresca del Sacro Graal, del prodotto che il cliente deve possedere per sentirsi importante ed affermato e, dall’altra, l’induzione del senso di colpa per gli acquisti fatti o desiderati e la spinta a disfarsi di tutto ciò che è considerato dall’opinione pubblica superfluo e addirittura deleterio per la vita del pianeta Terra.
Il mondo della moda e del lusso ha beneficiato della crescita a doppia cifra garantita da vendita esasperate di prodotti questionabili (dalle shopping simil-Ikea di Balenciaga vendute a caro prezzo alle maxi shopping bag di pelle nera di Phoebe Philo che costano più di 5.000 euro), dell’aumento dei prezzi non giustificato da alcun fattore reale fino alla messa in commercio di collezioni barocche e stucchevoli che hanno determinato l’ascesa e la caduta di designer esperti.
Negli scorsi anni sembrava che l’eccesso dovesse essere la regola a livello stilistico, finanziario e di comunicazione: eventi di lancio di profumi realizzati in veri cimiteri, campagne pubblicitarie fuori controllo che hanno giustamente irritato l’audience fino a determinare la caduta dall’Olimpo anche dei brand più quotati e seguiti, influencer che presi dall’avidità hanno confuso beneficienza e attività commerciali; i fenomeni del momento (inebriati dal successo) hanno perso il contatto con la realtà e mostrato infine dei lati di sé che il pubblico ha perentoriamente rifiutato.
Anche se la moda e il lusso amano profondamente spingere sul pedale dell’opulenza, dall’altra parte sono costretti (obtorto collo) a mettere in campo politiche di sostenibilità spinti da una tendenza alla frugalità estrema, alla rinuncia all’acquisto tout court, agli influencer che per stare dietro a questi cambiamenti draconiani hanno rinunciato a case di lusso e aziende e hanno deciso di vivere in luoghi selvaggi, con i loro averi racchiusi in una valigia.
È notizia recente che il famoso albero di Natale di Gucci nella Galleria Vittorio Emanuele di Milano sia stato imbrattato da sedicenti attivisti ambientalisti e che Gucci abbia deciso di non ripulire l’installazione dalla vernice, prendendo il gesto come “uno spunto per una riflessione collettiva” (oppure come una decisione prudente per non scatenare gli ambientalisti contro il brand sempre così coinvolto in iniziative di sostenibilità?).
Nel recente Vertice mondiale sull’azione per il clima, 1-2 dicembre 2023, COP28 si sono evidenziate tutte queste contraddizioni, essendo questi temi delicati e sensibili stati trattati nella sfarzosa Dubai.
Il cliente della moda e del lusso è costantemente spinto all’acquisto opulento e molto spesso futile e contemporaneamente stimolato ad avere sensi di colpa e vittimizzato in quanto complice di un sistema fortemente inquinante e deleterio per la natura.
Questa contraddizione condizionerà sempre di più l’intero sistema e porterà molto facilmente a corti circuiti che determineranno ulteriori scandali e crisi di reputazione insieme a esibizionismo di stili di vita barocchi e gonfiati che non rendono giustizia ad un’industria manifatturiera che dovrebbe fare leva molto di più sull’eccellenza dell’offerta, sulla ricercatezza stilistica e sulla produzione di valore nel lungo termine.
Ed avrà un duro impatto sulla crescita di molte aziende conosciute e affermate sui mercati internazionali.
(nella foto tratta da un video di LaPresse, attivisti imbrattano l’albero Gucci a Milano. Il marchio ha dichiarato di non voler rimuovere la vernice ritenendolo “uno spunto per una riflessione collettiva”)