Cereda (Gam): il lusso continuerà a crescere grazie ai clienti più tradizionali
“Stimiamo una crescita del 5% circa, appena sotto la media storica, con un consumatore cinese a +10%. Sono numeri importanti”. Il fondo ha modificato il portafoglio dei titoli e guarda anche settori che interagiscono in maniera rilevante con lo stesso consumatore del lusso
Prima i record dei record, poi come improvvisa la flessione. E l’infiammarsi dell’M&A, i giri di poltrone, mentre gli equilibri del mondo cambiavano anche drammaticamente. Per il lusso il 2023 è stato un anno particolare e ora si apre un 2024 con molte preoccupazioni. Di tutti i temi sul tavolo abbiamo fatto il punto con Flavio Cereda Parini, Investment Manager del settore lusso per il fondo Gam Investments.
Secondo le vostre analisi, come andrà il mercato del lusso nel 2024?
“Al momento stimiamo una crescita del 5% circa, ovvero appena sotto la media storica, con un consumatore cinese a +10%. Se gli acquisti della clientela cinese fossero maggiori del 10% allora l’impatto sarebbe più forte. Per una stima più precisa saranno importanti i dati del primo trimestre, che sicuramente non sarà facile. Direi che a Pasqua avremo una buona visibilità sul 2024”.
Il 2023, che si avvia alla chiusura, ha mostrato una forte divaricazione del mercato. Come sarà il 2024?
“La dinamica di polarizzazione in atto non cambierà: i brand più deboli, che devono rilanciarsi in un anno più complicato come sarà il 2024, faranno molta fatica. Chi, invece, nel 2021-23 ha continuato a guadagnare quote di mercato e a crescere in maniera più che proporzionale al settore è sicuramente molto avvantaggiato”.
Ha detto che il 2024 sarà un anno complicato: quali sono le incognite, i problemi, che più impatteranno il lusso e perché?
“In realtà mi aspetto che il Lusso continui a crescere ma tornando a una dinamica pre-Covid, che comunque rimane superiore alla media Consumer. Sicuramente la prima parte sarà caratterizzata da un paragone anno-su-anno molto sfidante visto l’effetto riapertura della Cina a inizio 2023, ma come sempre la forza del marchio rimane il punto chiave. Più volatilità del consumatore ‘aspirational’ (fascia prezzi più bassa, poca lealtà, più impattato dai trend economici), ma molto meno del consumatore più tradizionale, affezionato al lusso e meno esposto alle varianti macro, fenomeno che abbiamo già visto in passato. Ricordo che nonostante le nostre stime più caute, anche solo un +5% aggiunge 15-20 miliardi di euro alla spesa nel settore: sono numeri importanti”.
Quali saranno, invece, le condizioni che determineranno l’andamento positivo di una maison: il tipo di prodotto, la distribuzione geografica, la distribuzione fisica o digitale, il racconto o che altro?
“La forza e il momentum del brand più della categoria di prodotto. Una solida presenza con il consumatore cinese ovviamente aiuta. Per chiarire: solo certi brand di pelletteria e di orologi continueranno a crescere e guadagnare quote di mercato…. In un anno più volatile conta veramente tanto il cosiddetto ‘brand heat’.
Per il lusso l’Italia è molto importante. Come sarà il 2024 per il Paese?
“Come mercato del lusso l’Italia rimane molto trainata dal turismo. Il consumatore americano ha dato molto nel ‘22 e nel ‘23 e quindi le metriche nel ‘24 saranno più difficili. Per fortuna, il recente accordo con la Cina che permette l’ingresso senza visto per 15 giorni dovrebbe aiutare a incrementare il numero di visitatori cinesi, anche se rimarranno a livelli molto diversi dal 2019. Restano importanti ovviamente gli altri visitatori asiatici e dal Medio Oriente”.
Quindi le aziende del lusso potranno continuare a contare sul consumatore cinese come hanno fatto finora?
“Assolutamente sì. Non necessariamente in Cina, ma rimane la nazionalità più importante per il settore”.
Uno dei fenomeni a cui si è assistito è stato l’aumento dei prezzi da parte dei grandi marchi. A vostro avviso proseguirà anche nel 2024? Fino a che punto le aziende possono aumentare il proprio fatturato con un aumento dei prezzi?
“Sicuramente, ma non come si è visto a partire dal 2020, anno dal quale abbiamo assistito ad aumenti talvolta a doppia cifra più volte all’anno. Mi aspetto un ritorno al passato, ovvero in media un aumento all’anno ma su livelli più sostenibili. Alla fine conta molto la domanda per il brand e diventa un esercizio di equilibrio per evitare di creare squilibri in un contesto di mercato meno forte”.
In questo contesto, come si è comportata Gam?
“Abbiamo ‘premiumizzato’ il fondo, muovendoci verso l’alto nella famosa piramide del lusso, quindi sono stati privilegiati titoli che si rivolgono al consumatore più abbiente, meno volatile e sicuramente più affidabile. Sono aziende che continueranno a sovraperformare e meno esposte al rischio di una diluizione dei margini. Margini che, non dimentichiamolo, per molti sono già a livelli record”.
Come è composto il vostro portafoglio? Su quali titoli puntate?
“Il fondo Luxury Brands punta ad avere tra il 40% e il 60% in titoli di puro lusso….al momento siamo più vicini al 40% con un portafoglio più difensivo di prima. Poi ci sono titoli da altri settori che interagiscono in maniera rilevante con lo stesso consumatore del lusso. Pensiamo per esempio, a brand di hotel, di vini e alcolici, di articoli sportivi ecc. Il forte peso dell’Italia nel settore si riflette anche nel nostro fondo. Tra i titoli che abbiamo, spiccano Ferrari, Cucinelli e Moncler ma anche Campari”.
Il 2023 è stato un anno di grande rimescolamento, con acquisizioni, forte ricambio manageriale e stilistico. Come possiamo leggere questi movimenti?
“Sono una conseguenza della polarizzazione di cui parlavamo prima: chi fa bene genera molta cassa che consente di poter intervenire sul mercato; mentre chi fa fatica rimane vulnerabile ed è costretto a intervenire o sul prodotto, o sulla comunicazione o, come stiamo vedendo, sul personale chiave, siano designer o manager. Fa forse testo il caso Kering-Valentino, dove l’acquirente ha un momento di difficoltà ma dispone di un buon flusso di cassa e di una leva finanziaria rilevante che gli permette di intervenire con un brand che a sua volta deve gestire dinamiche complesse ma ha un profilo molto forte. Chiaro che una mossa così non sarà premiante a breve ma richiede un settore più propositivo di quello che ci aspettiamo nel 2024. Sia su Valentino che su Creed, Kering ha investito tanto pagando multipli alti per cui la strategia è, per forza, a medio-lungo termine”.
Il mercato si aspetta un altro consolidamento, da anni per esempio si parla di una unione Kering-Richemont. Dopo l’acquisto del 30% di Valentino con impegno ad arrivare al 100%, ha ancora senso una unione con Richemont, tenendo presente che Rupert si è già espresso negativamente?
“Sulla carta creerebbe un rivale più impegnativo per Lvmh con poche aree di duplicazione. Poi le difficoltà sia di cultura, che di strategia che di rapporti personali sono tante”.
Come Gam siete interessati a fare acquisizioni nel lusso? Se sì, di che tipo?
“Non nel mio caso, gestendo io un fondo che opera su titoli quotati”.
Si è aperto un dibattito se siano solo i grandi gruppi ad avere un futuro o se non possano invece sopravvivere gruppi nuovi e di minori dimensioni. Il consumatore cerca sempre maggior originalità…
“Verissimo: i grandi gruppi diventeranno sempre più grandi ma ciò non vuol dire che realtà più piccole non possano fare bene, anzi. ‘Brand heat’ non sempre è correlato alla dimensione del brand stesso, ma i flussi di cassa sono importanti per sostenere il momentum e investire in maniera importante per sostenere la crescita”.
Parlando di Asia, Adrian Cheng, che rappresenta uno dei maggiori gruppi cinesi del lusso, ha appena rilevato la maggioranza del brand di Matthew M. Wiliams. Può essere l’inizio di qualcosa di più importante?
“Cheng è un grande imprenditore che ha creato un gruppo di assoluta rilevanza per il settore in Asia incluso tra l’altro la più bella catena di ottica di lusso al mondo. Quindi un coinvolgimento di questo tipo va seguito con molto interesse”.
Si parla moltissimo di sostenibilità, si è appena conclusa Cop28 e la moda è stata molto presente. Ma la sostenibilità si fa anche con una riduzione di acquisti. Finora solo Armani si è espresso in favore di minori produzioni.
“Vediamo cosa succede… ma non mi aspetto grandi cambiamenti al momento”.
A proposito di Armani, i dettagli che stanno emergendo sui passi che l’imprenditore ha indicato da compiere per il gruppo dopo la sua scomparsa parlano di una possibile quotazione. Come vedete questa opzione?
“È sempre un opzione validissima, soprattutto se gestita bene, come è stato per esempio il caso di Cucinelli. Il brand Armani ha risonanza mondiale e quindi sicuramente ci sarebbe interesse da parte mia e dei miei colleghi”.
In queste settimane è di pubblica discussione la crisi di Farfetch. José Neves, il fondatore, non ha pubblicato i dati del terzo trimestre, Richemont ha detto che non interverrà oltre e si parla di dismissioni e delisting. È la crisi di Farfetch o è la crisi delle piattaforme dell’e-commerce?
“Sicuramente il canale digitale fa più fatica post-Covid ma molto dipende anche dalla qualità dell’offerta e del servizio offerto in un mondo che si avvia verso la multi-canalità totale. Riguardo a Farfetch, da sempre ha fatto fatica a imporsi come piattaforma di puro lusso sia per le caratteristiche del suo modello e dei suoi clienti, sia per la scontistica sempre presente e, infine, per un assorbimento di cassa fortissimo che in caso di un rallentamento del canale digitale come quello al quale stiamo assistendo lo ha reso particolarmente vulnerabile. Il modello MyTheresa, con una clientela importante molto più leale e più legata al lusso, funziona meglio ma anche loro fanno più fatica al momento. Sicuramente il rapporto con le brand è fondamentale e anche in questo Farfetch ha sempre fatto fatica ed è per questo che non ha mai avuto spazio nel Fondo”.