diretto da Maria Silvia Sacchi

Brambilla (Value Search): “Si cerca la massa critica, ma attenzione all’identità dei brand”

È stata una estate movimentata. Gucci, Valentino, Versace, Prada: in che modo nomine e acquisizioni muteranno gli equilibri nei grandi brand? L’analisi di una esperta

Brambilla (Value Search): “Si cerca la massa critica, ma attenzione all’identità dei brand”

Se c’è una cosa che non si può dire dell’estate che si sta concludendo, è che sia stata avara di notizie per quanto riguarda il mondo della moda e del lusso. Dalla riorganizzazione di Kering, con l’uscita di Marco Bizzarri da Gucci e la promozione in prima fila di Francesca Bellettini, all’ingresso dello stesso gruppo francese nel capitale di Valentino. Dal “matrimonio” che ha portato Capri Holding, e quindi Versace, a unirsi con il gruppo americano Tapestry, proprietario di Coach e oggi anche di Michael Kors, al ritorno di Alessio Vannetti in Gucci come Executive Vice President Chief Brand Officer, dopo l’esperienza in Valentino. E poi l’uscita, non ancora confermata ma da tutti data per certa, di Fabio Zambernardi, storico braccio destro di Miuccia Prada. A contorno una serie di operazioni di minore portata (l’acquisizione della maggioranza di Gianvito Rossi da parte di Richemont, per esempio) finalizzate in molti casi ad acquisire competenze e capacità produttive.

Abbiamo chiesto a Giovanna Brambilla, profonda conoscitrice del mondo del fashion e del lusso, di aiutarci a capire i movimenti in corso alla luce dell’esperienza con la sua Value Search, società specializzata proprio nell’executive search in questo settore.

“Siamo in un periodo di grande movimento: le acquisizioni portano con sé inevitabilmente cambiamenti di strategia e la necessità di manager in grado di portare avanti le nuove visioni. Sicuramente c’è in atto un processo di ulteriore concentrazione, per cui sono state fatte acquisizioni nella logica di creare ancora maggiore massa critica. Il che consente di creare sinergie fra i brand, ma lascia sempre aperta la domanda: queste operazioni riusciranno a preservare l’identità dei singoli marchi? Ci sono gruppi che tendono ad accorpare, altri più avvezzi alle dinamiche dei beni di lusso che sentono quindi maggiormente la necessità di tutelare l’identità e l’autonomia di ciascun brand. Ma sappiamo che non è sempre così e quindi i prossimi mesi ci diranno molte cose in proposito”.

Il gruppo Kering è stato senza dubbio grande protagonista dell’estate…

“I movimenti dei manager nell’ultimo periodo lasciano pensare che Valentino sia già quasi considerato una realtà di gruppo e che anche le opportunità offerte ai manager vadano considerate in questa logica. Il ritorno di Alessio Vannetti, che il contesto Gucci l’ha conosciuto molto a fondo, ricostituisce con Sabato De Sarno un team che ha già lavorato insieme in grande sintonia. Non c’è dubbio che il fatto di aver lavorato insieme faciliti le relazioni ma anche la possibilità di portare risultati importanti e implementare nel nuovo contesto nuove strategie. Altre considerazioni nascono invece dall’altra grande operazione dell’estate…”.

Stiamo parlando del passaggio di Capri Holding, e quindi di Versace e Jimmy Choo, agli americani di Tapestry?

“Sì, e la cosa che mi ha fatto riflettere è il comunicato con il quale Tapestry ha annunciato l’acquisizione. Si parla di un gruppo che sulla carta vale 12 miliardi di dollari, ma soprattutto viene dichiarato esplicitamente che la sinergia potrà produrre un’opportunità di riduzione dei costi di 200 milioni di dollari e che l’acquisizione produrrà immediatamente valore per gli azionisti. Non mi sembrano affermazioni banali, vuol dire che una delle aspettative è proprio quella di creare delle sinergie in tema di struttura dei costi. Però è evidente che fare sinergie significa mettere insieme realtà diverse, e generalmente questo significa uniformare, togliere specificità ai marchi. Quindi la domanda, lecita, è: che posizionamento caratterizzerà questo gruppo? I brand di Tapestry sono sicuramente più entry to luxury a livello di posizionamento, con l’acquisizione di Versace e Jimmy Choo il nuovo gruppo assumerà anche un’anima marcatamente luxury. Ci sono differenze geografiche significative, ma nel percepito Coach e Michael Kors in America sono anche un po’ in competizione. L’altro tema è che, pur avendo tutti i brand un portfolio prodotti più allargato, Versace è l’unico con un’anima ready to wear, mentre gli altri hanno negli accessori il loro core business. Da sempre gli accessori sono le categorie merceologiche che garantiscono marginalità più elevate, ma è il ready to wear a essere più rappresentativo in termini di contenuto di comunicazione e di definizione del dna della marca. Bisognerà capire quale equilibrio verrà trovato fra questi elementi, e anche come questa operazione sarà stata percepita sui mercati asiatici, che possono essere acceleratori importanti per il successo dei brand”.

Shein, il gigante dell’ulta fast fashion, ha recentemente nominato come responsabile per l’area Emea Christina Fontana, l’ex Head of Fashion & Luxury Europe and U.S. di Tmall del gruppo Alibaba. Come si può leggere questa mossa?

“Parto da un dato di fatto: a fine 2022 Shein è subentrato a Zalando rilevando il centro logistico di Stradella con un contratto triennale e mantenendo tutti i 300 dipendenti. Un investimento importante per il bacino italiano e europeo, a conferma della decisione di Shein  di affermarsi con determinazione in Europa. La nomina di Christina Fontana, con un background luxury, potrebbe essere propedeutica anche a un cambiamento significativo del business model, spingendo Shein verso l’alto, forse perché il posizionamento attuale potrebbe essere penalizzante sul lungo periodo. Non in termini di volumi, ovviamente, ma di marginalità, difficile da mantenere con un price point medio molto basso. Sarà interessante vedere come il marchio si muoverà nel prossimo periodo”.

Cos’altro si vede in questa estate di cambiamenti?

“Un elemento importante mi sembrano gli investimenti che tutti i brand stanno facendo nell’ambito delle funzioni Operations e Supply Chain e in generale in tutta l’area industriale. Un fenomeno trasversale: tutti i marchi del lusso stanno investendo tanto sul controllo della filiera quanto sull’avere, oserei dire quasi “accaparrarsi”, competenze tecniche e manifatturiere. È come se in poco tempo ci si sia accorti dell’importanza della filiera in questo business: sia le aziende che avevano già un’anima industriale, e a maggior ragione quelle che non l’avevano, stanno correndo in questa direzione con investimenti significativi, il raddoppio degli stabilimenti, l’acquisto di tessiture o concerie, proprio risalendo la filiera. Qualche giorno fa un manager del settore mi ha detto una cosa interessante, che mi ha fatto riflettere: anni fa i brand hanno dovuto cambiare pelle e, con l’apertura massiccia dei negozi diretti, si sono dovuti inventare retailer, sviluppando al proprio interno competenze che non avevano mai avuto, pur di presidiare direttamente i mercati e relazionarsi senza intermediazioni con il proprio consumatore. Oggi invece i marchi stanno andando a presidiare la parte opposta della filiera, si stanno integrando a monte; per chi  non  aveva in precedenza questo background industriale si tratta di un cambio epocale, che si sta realizzando molto velocemente, quasi per recuperare il tempo perduto. Ovviamente sono molte le motivazioni: le complessità geopolitiche, la difficoltà del trasferimento generazionale delle competenza produttive e manifatturiere ma anche il fatto che il mondo si è un po’ ristretto e chi aveva una supply chain globale si sta riorientando verso una dimensione più regionale. Poi ci sono i temi dell’innovazione tecnologica e dei materiali, oltre che della sostenibilità attraverso tutta la filiera, argomenti che stanno diventando decisivi e che richiedono una capacità di investimento che non tutte le aziende hanno, soprattutto le realtà industriali di piccole dimensioni presenti nei nostri distretti. Ma sicuramente il dato centrale è che dopo molti anni la funzione Operations è tornata a essere un fattore critico di successo e lo è diventata in modo se non inaspettato certo repentino. Non era così nel 2018 o nel 2019…”  

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Posted by Daniela Fabbri
Daniela Fabbri
Dalla carta stampata al web, ma sempre con lo stesso pallino: raccontare lo straordinario mondo delle imprese italiane, la loro creatività e la capacità di innovare e fare tendenza. Con un occhio di riguardo ai temi della formazione e alle dinamiche del mercato del lavoro.

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