L’analisi
Fondo sovrano, perchè senza filiere l’Italia rischia
Il disegno di legge approvato dal governo e le necessità dell’industria
Ieri il governo ha approvato un disegno di legge con molti punti che interessano una parte rilevante della nostra economia. Un ddl che istituisce a) un Fondo sovrano con una dotazione iniziale di 1 miliardo per promuovere le filiere strategiche; b) il liceo del made in Italy e il tutoraggio per la trasmissione delle professioni artigianali; c) la giornata del made in Italy fissata nel 15 aprile; d) una certificazione di origine made in Italy.
In attesa di esaminare meglio i dettagli del provvedimento e di vedere il suo iter successivo, in particolare sul liceo e sulla certificazione di origine, occorre fermarsi un momento sul fondo sovrano. La nota del ministero delle Imprese e del made in Italy dice che il suo obiettivo è quello “di stimolare la crescita e il consolidamento delle filiere strategiche nazionali anche per la fase dell’approvvigionamento delle materie prime critiche”. È indubbio che, dopo gli anni di acquisti massicci di marchi italiani da parte di gruppi stranieri, oggi si sia assistendo a un analogo processo sulle aziende terziste. Con la differenza che ora i pesi tra grandi gruppi esteri, francesi in particolare, e italiani è diventata così grande da apparire incolmabile. Quest’anno la sola Lvmh arriverà verosimilmente a 100 miliardi di ricavi, che equivale sostanzialmente al fatturato di tutta la moda italiana.
La vera emergenza delle imprese del made Italy (anche se come ha detto una volta Patrizio Bertelli, patron di Prada, made in Italy e moda pur essendo stati usati spesso come sinomini sono invece concetti molto diversi e la moda ha delle proprie specificità) è infatti in questo momento quella di riuscire a produrre. Le richieste ci sono, manca chi realizzi i prodotti. Non si è pensato per tempo – perchè è sempre mancata una politica industriale, a causa delle delocalizzazioni e per altre ragioni ancora – ad assicurare il ricambio nelle professioni artigianali e il mantenimento in vita di aziende creative e velocissime nel rispondere ai nuovi bisogni emergenti, ma piccole e finanziariamente deboli. Mentre nei convegni si parlava di integrità della filiera, nella realtà le cosiddette aziende del valle e quelle del monte sono spesso rimaste divise e c’è stato un periodo in cui le prime hanno anche addossato alle seconde molti costi nuovi come quelli della sostenibilità. Fino a quando non si è realmente capito che le une non possono vivere senza le altre. Alcuni imprenditori hanno avviato progetti di sostegno dei propri fornitori – dal “progetto cash” di Otb agli investimenti diretti nelle produzioni di Prada, Dolce & Gabbana e Zegna, a Ovs con la coltivazione diretta del cotone in Italia per fare alcuni esempi – e il Covid ha reso definitivamente chiaro quali rischi stava correndo una delle più importanti economie del Paese. Va detto che all’inizio della pandemia è stato chiaro per l’industria del made in Italy, più che per la politica: troppo a lungo le aziende avevano puntato più sulla propria immagine che sul contenuto industriale che sta loro dietro e troppo a lungo si sono mosse in ordine sparso, senza dialogare tra di loro. Oggi le posizioni tra industria e politica sembrano esserci avvicinate. Speriamo. Anche perchè non è detto che la competizione dei prossimi anni non coinvolgerà altri marchi italiani ancora indipendenti.